Email security:
il fronte trascurato della cybersecurity

L’email continua a essere il principale strumento di comunicazione aziendale, ma anche uno dei più vulnerabili agli attacchi informatici.

Phishing, errore umano e minacce sempre più sofisticate mettono a rischio dati sensibili e operatività.

Proteggere la posta elettronica richiede molto più di un filtro antispam: servono consapevolezza, regole chiare, formazione continua e tecnologie avanzate.

La sicurezza dell’email non è un dettaglio tecnico, ma una componente essenziale della strategia cyber complessiva. Trascurarla significa esporre l’intera organizzazione a rischi evitabili.

Nonostante la sempre crescente diffusione di strumenti di collaborazione evoluti e l’adozione sempre più pervasiva dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro, l’email resta ancora il principale canale di comunicazione nelle aziende.

Viene utilizzata quotidianamente per lo scambio di documenti, la gestione di progetti, le interazioni con clienti e partner…

Tutto questo la rende un asset critico ma, paradossalmente, spesso sottovalutato dal punto di vista della sicurezza.

Parlare di email security oggi non è solo attuale, è urgente. I numeri lo dimostrano e i rischi, anche e soprattutto per le organizzazioni italiane, non possono più essere ignorati.

Email Security_Blog

Il Rapporto Clusit 2025 conferma che l’Italia è ancora uno dei bersagli privilegiati nel panorama cyber mondiale: il nostro Paese ha subito nel 2024 il 10,1% degli attacchi globali.

Un dato allarmante che, se confrontato con la crescita complessiva degli incidenti a livello mondiale (+27,4%), fotografa un cyberspazio sempre più ostile, in cui l’email rappresenta uno dei principali vettori d’ingresso.

Secondo Clusit, tra le tecniche di attacco più diffuse, phishing e social engineering coprono l’11% degli incidenti in Italia.

Un dato che può sembrare marginale rispetto, ad esempio, al malware (38%), ma che assume una rilevanza critica se si considera che il phishing è spesso l’anello di partenza di infezioni più complesse, tra cui ransomware, esfiltrazioni di dati e compromissioni della supply chain.

Quando si parla di email security, il primo pensiero corre alle minacce in entrata: phishing, spoofing, link malevoli, allegati infetti.

È naturale, poiché questi attacchi sono visibili, diretti, e spesso clamorosi nei loro effetti. Non a caso, il 47% dei responsabili IT li identifica come la minaccia principale. Ma esiste un altro fronte meno considerato, eppure altrettanto pericoloso: i rischi in uscita.

L’errore umano resta una delle principali vulnerabilità. Inviare una email al destinatario sbagliato, allegare un documento confidenziale senza cifratura, dimenticare una copia nascosta con indirizzi sensibili: sono incidenti apparentemente banali, ma che possono causare perdite di dati, violazioni di policy GDPR, danni reputazionali e conseguenze legali.

Secondo alcuni report condotti a livello internazionale, oltre la metà dei dipendenti riconosce di commettere frequentemente errori di questo tipo, e il 30% addirittura quasi ogni settimana.

E se il 73% dei dipendenti e collaboratori è a conoscenza delle policy di email security della propria azienda, meno del 52% le segue con regolarità.

La situazione, di per sé già critica, si complica ulteriormente con l’avvento dell’intelligenza artificiale, che da un lato abilita nuove forme di produttività, dall’altro è alla base di attacchi sempre più sofisticati.

Le campagne di phishing diventano “payloadless, capaci di ingannare anche gli utenti più attenti attraverso l’imitazione di stili comunicativi credibili e l’uso di informazioni contestuali.

In parallelo, il lavoro ibrido e remoto ha ampliato la superficie d’attacco, rendendo più difficile applicare controlli coerenti su dispositivi, reti e comportamenti degli utenti.

Le barriere perimetrali sono meno efficaci in un mondo distribuito, e l’email rappresenta un punto critico da difendere con maggiore attenzione.

Come spesso ripetiamo, quando si parla di sicurezza, anche quando si tratta di proteggere la posta elettronica, la questione non è meramente tecnologica.

Serve un approccio olistico, che combini consapevolezza, formazione, policy chiare e strumenti avanzati.

Il primo passo è culturale: creare una vera e propria cultura della sicurezza, in cui i dipendenti comprendano non solo il “cosa” ma il “perché” delle policy.

La formazione deve essere continua e contestualizzata, basata su esempi reali e simulazioni di attacco. Solo così l’utente può diventare un alleato, e non un punto debole.

In parallelo, è necessario dotarsi di soluzioni che rendano la sicurezza un elemento naturale del workflow, e non un ostacolo.

L’adozione di strumenti basati su AI può aiutare a prevenire errori prima che avvengano: suggerimenti intelligenti, alert in tempo reale, validazione automatica dei destinatari, controllo dinamico degli allegati.

L’obiettivo non è complicare la vita degli utenti, ma supportarli nel prendere decisioni corrette.

Esistono alcune regole fondamentali che ogni organizzazione dovrebbe adottare per rafforzare la sicurezza dell’email.

È essenziale impostare policy chiare e condivise, che siano facilmente comprensibili e coprano sia l’utilizzo professionale della posta elettronica sia i comportamenti da evitare, come l’apertura di link sospetti o allegati non richiesti.

La formazione continua riveste un ruolo altrettanto cruciale: non sono sufficienti corsi introduttivi, ma servono aggiornamenti regolari, simulazioni pratiche di attacchi phishing e materiali dinamici che aiutino i dipendenti a riconoscere le minacce in evoluzione.

L’adozione dell’autenticazione a più fattori (MFA) rappresenta un ulteriore livello di protezione, utile anche nel caso in cui le credenziali vengano compromesse.

A questo si affianca la necessità di utilizzare password robuste e uniche, evitando il riutilizzo e avvalendosi di strumenti affidabili per la loro gestione.

Un altro principio cardine è quello del minimo privilegio, che prevede l’accesso alle risorse solo per chi ne ha effettiva necessità, riducendo così i rischi di esposizione accidentale.

Infine, monitorare e registrare costantemente l’attività email consente di individuare tempestivamente eventuali anomalie, prevenire la perdita di dati e facilitare le indagini in caso di incidenti.

Dal punto di vista tecnico, esistono tre protocolli fondamentali per proteggere la posta elettronica da spoofing e impersonificazione:

  • SPF (Sender Policy Framework): specifica quali server sono autorizzati a inviare email per conto di un determinato dominio.
  • DKIM (DomainKeys Identified Mail): applica una firma digitale alle email, assicurando che il contenuto non sia stato modificato durante il transito.
  • DMARC (Domain-based Message Authentication, Reporting and Conformance): combina SPF e DKIM e permette di definire policy su cosa fare quando un’email fallisce i controlli di autenticazione (quarantena, rifiuto, segnalazione).

L’adozione di questi protocolli non solo migliora la deliverability delle email, ma protegge il dominio aziendale da attacchi di impersonificazione, migliorando la fiducia degli interlocutori e riducendo i rischi di phishing.

Come abbiamo già avuto modo di sottolineare, le email non sono solo un mezzo di comunicazione: custodiscono informazioni riservate, conversazioni strategiche, dettagli finanziari, relazioni commerciali.

Proteggerle richiede più di qualche accorgimento tecnico. Significa conoscere a fondo il modo in cui l’organizzazione comunica, valutare i flussi, individuare le aree critiche e intervenire con strumenti e competenze adeguate.

Per questo, affidarsi a un partner specializzato non è un’opzione tattica, ma una scelta strutturale.

IFIConsulting lavora al fianco delle imprese proprio su questo fronte: integra la sicurezza nella vita quotidiana della posta elettronica, rendendola un presidio costante e non un insieme di regole imposte dall’alto.

Attraverso assessment mirati, configurazione di protocolli come SPF, DKIM e DMARC, soluzioni di cifratura e controllo degli allegati, l’azienda costruisce architetture sicure su misura, capaci di adattarsi ai flussi operativi reali.

Ma è nella formazione e nella cultura del rischio che IFI fa la differenza: nessun filtro può sostituire l’attenzione umana, e un buon partner sa come rafforzarla, senza appesantire i processi.